Racconto sulle quattro stagioni – "Queste sono le mie quattro stagioni!"

cinque foglie con variazioni diverse di stagionalità. Da sinistra verso destra: verde, verdastra, gialla, arancione, rossastra.

Il mio rapporto con i traslochi non è proprio dei migliori. L’aria di cambiamento che portano con sé è tutta da provare ma li ritengo veramente una seccatura: giorni interi a inscatolare ed avvolgere, a fare cernite per poi ritrovarsi subito dopo con il lavoro opposto da compiere. Ma soprattutto, una volta terminata la fatica di Ercole, ecco la voglia irrefrenabile di aprire ogni pacco e curiosarci per ore.

Con i facchini che saranno qui tra qualche ora, non è peccato frugare nel passato per ammazzare il tempo. Mi prometto di aprirne uno solo.

È pieno di mie vecchie cose della scuola, questo quaderno dev’essere senz’altro delle elementari. Aperto su una pagina datata 14 marzo, leggo in rosso “Inventa una storia sulle quattro stagioni”: il mio corsivo era fin troppo pulito e lineare a quell’età. Non credo che riuscirei a mettere via questo quaderno ammuffito senza aver letto quella paginetta piena di correzioni e parentesi, voglio dare un’occhiata:

 

Mi piacciono tutte le stagioni (anche se la mia preferita è l’estate). Immagino le quattro stagioni proprio come miei compagni di classe. L’estate è la bambina più popolare e la più carina, tutti vogliono essere suoi amici e alle feste è sempre invitata però riesce sempre a farci piangere alle feste perché va via presto, va via sul più bello. L’autunno è come Nicholas, cerca sempre di attirare l’attenzione, invita tutti a giocare a casa sua ma purtroppo viene sempre ignorato (noi preferiamo sempre l’estate). L’inverno mi sta un po’ antipatico, è il bambino più solitario e taciturno della classe, quello che gioca solo con Alberto e Davide perché sanno come prenderlo. Mi piacerebbe essere suo amico ma quando lo saluto si rintana sempre nella sua sciarpa (sembra una tartaruga). Poi c’è la primavera che va d’amore e d’accordo con Rosa, insieme raccolgono tutti i fiori più belli del giardino (voglio sempre un fiore solo mio, tutto per me). I giorni più brutti sono quando lei rimane a casa malata, ha sempre tantissima allergia. Queste sono le mie quattro stagioni!

 

Quanto mi piacciono le parole dei bambini, così genuine, senza giochi d’ingegno paradossali ma solo cariche di metafore dolci e sincere.

Ormai sono sprofondato in questa poltrona reclinabile, circondato da carta e cartone e con un milione di stressanti faccende di casa da risolvere ma proprio non riesco a smettere di chiedermi come figurerebbero quelle stagioni infantili se fossero riuscite a prendere vita da quei fogli stropicciati. Nonostante il mio torpore post pranzo, sento la mente girare al massimo tutta intorno a questo chiodo fisso. Io la lascio fare, di tempo ne ho ancora parecchio.

Se ognuno sembra amare l’opposto di se stesso, l’inverno è follemente innamorato della fatale e disarmante estate: l’ha conosciuta semplicemente e unicamente da una fotografia ma la guarda ogni volta con occhi che sembrano una finestra spalancata dalla quale si affaccia l’anima. E in questo strano universo dove l’astratto prende vita, lei ricambia e impazzisce nel cuore al pensiero della vibrante malinconia e delle maniere delicate di quel bambino che, cresciuto, ha mantenuto lo stesso sguardo di ghiaccio e le stesse mani gelate.

Si inviano lettere tanto romantiche che sembrano fatte di zucchero e cioccolata, i regali che si scambiano assomigliano a promesse per la vita. Consumano un amore simile a quelle opere d’arte così incantevoli da non poter essere vere, capaci di invadere e ammaliare la mente di chiunque ma mai di avere la possibilità di vedere la luce. Non sanno della loro incompatibilità, della triste sentenza che impedisce loro di esistere nello stesso momento mano nella mano, di guardarsi negli occhi, cuore a cuore e sentire l’umidità nel respiro dell’altro, o forse scappano semplicemente da questo pensiero.

Dell’altro conoscono solo le curve delle parole, le sagome delle frasi infinite; sono ridotti a bere quei suoni e mangiare ogni lettera, attendendo che si possano saziare veramente l’uno con l’altro.

In questa che non è una favola ma una bolla fatta di tenerezza e illusioni che scoppia sempre, all’improvviso, tutto quello che fino a quel momento li aveva nutriti e fatti sognare sembra non bastare più. I due affamati vogliono altro adesso, desiderano proprio ciò che gli è impossibile: sostituire la carta con dei sussurri all’orecchio, le dediche nei disegni con delle carezze, quella triste solitudine camuffata con tutta la pienezza che sarebbero in grado di offrirsi a vicenda.

Li osservo guardarsi ognuno dalla finestra della propria stanza, le lacrime che rigano il viso e le mani che lasciano le impronte sul vetro. Fanno sforzi enormi per provare a comunicare ora, cercano di convincersi che dovrà pur esistere un modo. Non lo trovano, è tutto inutile. Sono stati traditi dalla loro stessa natura: un fiocco di neve, davanti al quale uno dei due sorride sentendosi a casa, è il veleno che ucciderebbe l’altra, che strozzerebbe in gola le sue parole d’amore; con l’afa quotidiana, lenitivo naturale per la ragazza, l’amico infelice fa fatica persino a respirare.

Com’è immensa e insormontabile la colpa di voler osare, di voler sfidare ciò che batte tutti in partenza. La classica punizione offerta per il peccato di cuore è l’ombra di un ricordo che coccola e affranca durante la notte, ma che rende sventurate e desolate le giornate infinite.

Come quell’artista che prova a riempire il senso di vuoto per non aver realizzato l’idea originale, virando senza alcuna convinzione sulla scelta secondaria, i due innamorati riaprono i loro occhi per guardarsi attorno ancora, per cercare dell’altro, affine e discorde all’amore originale.

Eccoli partire per un’altra riva, con il cuore segnato per sempre dalla traccia indelebile di quello che non è stato; davanti a loro, il finale del film sentimentale più banale che sia mai esistito: lei che cade nelle braccia di un casanova con la faccia da bravo ragazzo mentre lui cerca di ingannare se stesso con rapporti che accennano risposte che in realtà non coglie mai. Evidentemente però, quello stesso mondo dove l’immaginazione è la chiave, non è poi diverso dal nostro; anche lì se si prova a ricucirsi l’anima, il buco che fa l’ago nel dito diventa subito una voragine e, proprio in quella voragine, ci si perde di nuovo.

Optando per la via opposta, tentano con persone a loro molto più affini a loro. Ma per l’estate e l’inverno è impensabile anche una storia con il loro autunno e la loro primavera.

E’ un gioco architettato dal crudele destino il loro; stavolta non è la meteoropatia ma la routine a non farli trovare mai per un soffio: con i nuovi amanti si danno costantemente il cambio, hanno tempo per sfiorarsi soltanto.

È il campanello a trascinarmi via dalle mie riflessioni. Devo essere stato a oziare quasi due ore. Chissà per quanto tempo sopravvivrà in me il ricordo di questi miei nuovi amici, di questa piccola parte della mia infanzia che è maturata per accompagnare il mio sonnellino. Io la osservo come una nipotina cresciuta abbastanza per capire che non tutti i racconti che riempiono i quaderni devono terminare per obbligo con un lieto fine. Forse è proprio questa la ragione per cui, pensandoci bene, la mia estate e il mio inverno non mi lasceranno mai.

Oggi vorrei dire di aver compreso la loro distanza ma mi è più dolce pensare che quell’amore sia stato.

Il racconto è stato pubblicato nella raccolta "Racconti Green" di Rudis Edizioni. Per acquistare il volume, clicca qui

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Commenti

Lucio
un anno fa

Ciao Riccardo complimenti!

Il giardino delle lettere
un anno fa

Grazie!

Emanuela Finelli
un anno fa

Continua così.... E secondo me sarai un grande scrittore....

Il giardino delle lettere
un anno fa

Grazie di cuore!

Emanuela Riccardi
un anno fa

Bellissimo racconto Ric, congratulazioni per questo traguardo❤️

Il giardino delle lettere
un anno fa

Grazie, grazie, grazie❤️

Maria Gabriella
un anno fa

Complimenti Riccardo!
Il racconto mi è piaciuto…..una ventata di emozioni e freschezza nello scorrere delle stagioni della vita.