25 aprile: voci, scelte e radici della libertà

Nel 1963, Oriana Fallaci incontrò Natalia Ginzburg per un’intervista destinata all’“Europeo”. Parlano di letteratura e dei figli, certo. Ma inevitabilmente il discorso scivolò su Leone – marito di Natalia, torturato fino alla morte nel carcere di Regina Coeli – e sul ricordo di quei giorni bui in cui lei gli portava da mangiare quel che riusciva a trovare. Gli aveva consegnato delle uova, non proprio fresche, due giorni prima che morisse. Per mesi la Ginzburg si straziò al pensiero che potessero averlo ucciso proprio quelle. Non sapeva che il marito, le uova, non poteva nemmeno metterle in bocca: gli avevano spaccato la mascella a furia di botte e il suo cuore smise di sopportarle. Ascoltando, Oriana strinse le unghie nei palmi e ricordò gli scampanellii improvvisi, le corse in bicicletta con i messaggi da inghiottire se fermata, l’arresto del padre, la paura di quei giorni – dall’armistizio alla Liberazione – in cui la quotidianità era fatta di episodi così.

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Parigi perduta... e ritrovata: camminare nella città di Julien Green

C’è un libro che mi guardava da anni, muto, come certe voci che si dimenticano ma che, tornando, pretendono di essere ascoltate: Parigi, di Julien Green – lo scrittore dal cognome che parla americano e dall’anima profondamente parigina, che fece del XVII arrondissement la sua sola e vera patria. L’avevo comprato in un giorno qualsiasi e riposto nello scaffale. Poi, l’anno scorso, l’ho aperto. L’ho sfogliato, ho chiuso gli occhi e ho provato, invano, a sovrapporre la Parigi dei miei ricordi – quella dei boulevard affollati, del rumore dei tacchi sulla pietra, del vento sulla Senna – a quella evocata tra le righe del libro. Non combaciavano. Troppe fratture.

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La Campana di Vetro e Sounds of Silence: il destino degli irrilevanti

Qual è il destino di chi si riconosce estraneo dalla strada già tracciata per tutti, di «un prestante cavallo da corsa in un mondo senza ippodromi», intrappolato tra aspettative e desideri incompatibili? Una voce eloquente è quella di Esther Greenwood, protagonista della Campana di vetro, romanzo specchio di Sylvia Plath, che riecheggia nelle canzoni che compongono Sounds of Silence. Due linguaggi diversi, lo stesso disagio generazionale, la stessa sensazione di estraneità e oppressione, in embrione negli anni cinquanta, esplosa nel decennio successivo. Così, l’album di Simon & Garfunkel diventa la colonna sonora ideale del romanzo.

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