
Oscillo nel buio, quasi mi aggrappo alle morbide pareti di velluto di questo scrigno. Mi è già capitato di trovarmi così, avvolta nel sussurro indefinito che si muove al di fuori, ma questo tremolio che mi scuote, questo viaggio, mi riporta a un tempo che credevo lontano.
Un tempo in cui lui non aveva ancora posato gli occhi su di lei, ma si narrava di noi nei corridoi e nelle anticamere delle corti, come di un mirabile prodigio. Poi arrivò spavaldo, quel giovane uomo già così elegante e geniale. La sentimmo subito: un’attenzione devota, e uno sguardo su di noi, scintillanti e fieri, che sfiorava ogni nostro riflesso. Nata da una distrazione, abbiamo visto sorgere una tempesta, perfetta, perché nutrita da un amore ricambiato.
Non era insolito che Lucrezia dedicasse lunghe ore a spazzolarci con cura: amava le sue belle onde bionde che incarnavano il suo potere. Tuttavia da quel giorno, qualcosa era cambiato. Impacchi più profumati, mani più pazienti, e nell’aria vibrava una nuova attesa. Non era vanità. Per quell’umanista veneziano eravamo divenuti un’ossessione. Lei lo sapeva, e noi lo percepivamo in ogni carezza. Pietro rapito dal fascino, profondamente conquistata Lucrezia.
Si amarono così, tra «mille lontananze, mille guardie, mille steccati, mille muri», con il sottile timore che, nel gioco d’ombre e di nascondino dietro le colonne del palazzo, il messaggero fidato potesse essere scorto. Ne furono testimoni quelle febbrili revisioni sull’opera, ispirate da noi, e quelle pagine che si leggeranno per secoli, anche solo per il nome che portano in dedica. La struttura originaria piegata sotto il peso di una fiamma che divora l’animo: una celebrazione di quell’amore platonico che non chiedeva nulla se non di esistere. Una metà senza la quale non ci si trova semplicemente dimezzati, non si è nulla, perché non è soltanto parte di un tutto, ma è quel tutto.
Ne fui testimone io, quando Pietro, che sarebbe rimasto per sempre, dovette tornare a Venezia. Lo fece sussurrando: «io parto, o dolcissima vita mia». Allora Lucrezia mi tagliò, con delicatezza; una lama affilata e senza traccia di esitazione mi separò dalle mie sorelle. Ma prima di lasciarmi andare, le sue dita sottili si sono posate ancora su di me, come per imprimere nelle fibre un ultimo ricordo, un bacio silenzioso, eppure pieno di promesse.
Fui con Pietro, mai distante dal suo cuore. Il mio posto era qui, in questo scrigno che mi accoglie tuttora, accanto alle lettere di Lucrezia. I fogli consumati dal tempo, le sue parole sporcate dal romanesco e dallo spagnolo, gravemente misurate e tracciate con attenzione sulla carta, sembrano ancora oggi l’eco della sua voce. Ogni notte, dopo lunghe ore di scrittura e riflessione sul suo tavolo – d’ambasciatore prima, di cardinale poi – Pietro rileggeva Lucrezia, quasi rimproverando a quell’inchiostro seccato di non essere fatto unicamente dell’essenza della mia padrona. Mi prendeva con la stessa premura con cui Lucrezia mi avrebbe trattato. Sotto il suo tocco restavo morbida e biondissima, come se il tempo non avesse alcun dominio su di me, parte di quel fragile incanto immortale.
Ma ora, il mio viaggio continua, e le memorie dei miei due padroni si intrecciano con le sensazioni che avverto nel presente. I sobbalzi della strada sotto di me si mescolano al ritmo cadenzato degli zoccoli, mentre la superficie scoscesa mi costringe a scivolare. Sento l’acqua che scorre, forse di un fiume: mi culla per un attimo, ma il silenzio della strada viene subito frantumato da voci che si avvicinano. Un vociare sommesso, poi sempre più forte, più nitido. Siamo giunti in una città vibrante. Non riconosco il dialetto che mi circonda; suoni nuovi e duri mi avvolgono. La gente si muove con una frenesia che trasmette un senso di grandezza. Non sono le città che conosco; è un luogo nuovo e ricco. Le strade, affollate di passanti, pulsano di energia in ogni suono, e mi rendo conto che non so dove sono stata portata, né in quali palmi finirò.
Che io possa trovare rifugio nelle mani di un Sant’uomo potente, è questa la mia speranza. Un uomo dall’animo vasto quanto le sue opere, che possa preservare questo carteggio, affinché non invecchi, non muoia nell’oblio che inghiotte ogni cosa.
E poi? Chi si lascerà sedurre dall’oro che sfiorava le guance della Borgia? Forse un poeta inglese, ardente e tormentato, che si tufferà nel blu profondo del Mar Ligure, sfidando le onde come se duellasse con il destino, e che combatterà per la libertà di terre che non gli appartengono. Un’anima così appassionata, rapita dalla mia luminosità, tanto da desiderare di avere con sé i miei fili, fino a… rubarne uno.
O forse sarà un francese, un altro scrittore? Un osservatore meticoloso del mondo che ci avrà nella mente, scrivendo che «Dio è nei dettagli». Lì, nella sua immaginazione, un frammento dorato che alimenta la fantasia.
Chissà quanti altri uomini di potere e poeti si inginocchieranno innanzi a me, vinti dalla mia grazia. E solo chi ha provato il «grandissimo caldo» del sentimento, riconoscerà in me il pegno di un amore, «dell’amore più puro». È questo il mio destino: intrecciarmi a uomini che cercano nella mia storia un profumo di eternità. Io, qui, lontano da casa, di fronte a chi saprà vedere in me non solo un ricordo, ma una promessa.
Qualcuno ha sollevato maldestramente lo scrigno, l’ha posato su un tavolo. La superficie fredda del legno, il rumore di una stanza vuota, priva di eco. Chissà per quanto starò qui. Nel mio cuore di seta, cullo un desiderio: che sia lei, la mia padrona, a svelarmi stasera. Che sia lei ad accarezzarmi, a leggere le parole del suo Pietro, accompagnata dalla luce tremula di una candela. Allora sì che sarò a casa.
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