Parigi perduta... e ritrovata: camminare nella città di Julien Green

Pubblicato il 18 aprile 2025 alle ore 17:47

C’è un libro che mi guardava da anni, muto, come certe voci che si dimenticano ma che, tornando, pretendono di essere ascoltate: Parigi, di Julien Green – lo scrittore dal cognome che parla americano e dall’anima profondamente parigina, che fece del XVII arrondissement la sua sola e vera patria. L’avevo comprato in un giorno qualsiasi e riposto nello scaffale. Poi, l’anno scorso, l’ho aperto. L’ho sfogliato, ho chiuso gli occhi e ho provato, invano, a sovrapporre la Parigi dei miei ricordi – quella dei boulevard affollati, del rumore dei tacchi sulla pietra, del vento sulla Senna – a quella evocata tra le righe del libro. Non combaciavano. Troppe fratture.

L’ho letto in poche ore e, arrivato all’ultima pagina, sono rimasto con un sapore preciso in bocca: il fastidio sottile di non avere le chiavi per penetrare in ciò che Green ricordava con amore della sua Parigi; la consapevolezza che, forse, non l’avevo mai capita davvero quella città che da sempre metto in cima tra le mie preferite; e, più forte di tutto, il desiderio di assaporarla. Non la Parigi dei turisti frettolosi o dei parigini distratti, ma quella che si mostra solo a chi si lascia scegliere. La Parigi silenziosa e intensa dei flâneur, dei viandanti, degli innamorati, del tempo perso e ritrovato.

Così ho preso un volo, e con lo zaino sulle spalle e il libro in tasca, ho cominciato un itinerario nella memoria di Julien Green. Ho camminato nella sua scia fotografando ciò che descriveva: le scalinate che salgono e scendono come respiri (cosa sarebbe Parigi senza le sue scale?); il nuovo Trocadéro, che ha sostituito il «vecchio gigante orientale e panciuto»; i colori della Francia intera, secondo la visione degli impressionisti. Ho fotografato le rive della Senna, la grande strada che attraversa la città e ha inghiottito i corpi dannati dei Canti dei Maldoror, dei Miserabili, di Relitti, ma anche dei suicidi senza nome; le sue acque che conservano i segreti, le speranze, la poesia che resiste sotto la superficie.  

Tutto per cercare di rispondere a quelle domande che Julien Green pone retoricamente nell’ultima pagina: «A che cosa pensa? […] Si chiede qualche volta perché sia sulla terra e perché proprio in quell’epoca e non in un’altra? Che cosa crede? Che cosa vede?» l’uomo che, forse, mille anni dopo Green, in piedi dietro il vetro della stessa finestra, guarderà lo stesso paesaggio di case dietro gli alberi e lo stesso cielo primaverile. Domande che, a mio avviso, tra le mille sfumature, saranno attraversate dal filo sottile delle tre parole che chiudono il libro: «una bellezza infinita».

E poi, come succede nei finali più beffardi, in quella città che cercavo di fermare negli scatti, ho perso il telefono. O forse, a guardarla con il sorriso, gliel’ho regalato io, a Parigi. Mi ero convinto che quelle immagini dovessero restare solo lì, in un angolo della mia memoria. Ma non è andata così. C’era qualcosa di irrisolto, di incompleto. Sentivo la necessità di recuperare ciò che avevo perduto. Così sono tornato. A Passy, dove Green camminava con le mani raccolte dietro la schiena. A Palais Royal, con il suo improvviso silenzio dopo «il frastuono delle strade e delle piazze». A Val-De-Grâce, dove l’architettura da sogno sembra di vetro e «ci si aspetta di veder brillare le stelle».

Stavolta, quelle fotografie le ho conservate con cura. Le affido a voi, insieme a un semplice invito, lo stesso che Julien Green sussurra da ogni pagina: perdetevi a Parigi, e lei vi accoglierà.

 

Foto 1: Ma se le scale dei palazzi stuzzicano la curiosità, quale rassicurante malinconia riversano nell’animo del flâneur i gradini di pietra che lo invitano a costeggiare le rive della Senna e a perdersi nella contemplazione delle sue acque scure! […] Quando risale i gradini gli sembra di aver fatto provvista di ricordi e di essersi arricchito di una nuova tristezza.

 

Foto 2: [È il fiume a parlare] «E scommetto che tra cent’anni alcuni rimarranno incantati nel leggere che a Parigi, nel ventesimo secolo, c’erano ancora mostri a quattro ruote sulle strade, scale nelle case, torri, musei. […] Comunque sia, rimarrò sempre al mio posto invisibile; pensa che io attraverso troppe Parigi immaginarie, ma per tutti i corpi che i vostri romanzi hanno affogato nel mio letto io sento ancora le grida vere che i miei flutti hanno ingoiato, ho tutte le prove che hanno nascosto nel mio seno fin dal Medioevo, […] e se, come gli altri, vuoi sapere cosa davvero penso di Parigi, ti consiglio di guardare con il cuore il sorriso misterioso della sconosciuta della Senna.»

 

Foto 3: L’altra sera passeggiavo dalle parti di rue des Feuillantines e mi ronzava in testa il nome Val-de-Grâce. Quando si risale rue Saint Jacques […] arriva il momento che anche il flâneur più informato sui misteri della sua città si ferma e osserva in silenzio. Parigi appartiene ai sognatori, a chi sa svagarsi nelle strade senza badare al tempo che passa; in cambio, può vedere ciò che altri non vedranno mai.

 

Foto 4: Courbevoie, la Grande Jatte e i prati inondati dal sole, Argenteuil e le vele bianche delle regate, Mantes intravista fra gli alberi di Corot in una luce argentea: ecco uno degli aspetti più belli del mondo sensibile. A ogni passo ritroviamo la Francia intera. È a tal punto legata ai nomi di Vétheuil, di Les Andelys, di Rouen, di Jumièges che al solo ripeterli, questi nomi meravigliosi, sentiamo rinsaldarsi la speranza di quei giorni migliori e la fiducia in quel qualcosa d’indistruttibile che è la Francia. […] In quei quadri sorride, ed è forse più straziante che se ci lasciasse vedere le lacrime versate in segreto. La Francia ieri felice e adesso martire, così lontana da farci apparire insuperabile lo spazio che ci separa dalle sue rive, eppure così vicina e così presente da riempire la nostra solitudine con le sue strade, i suoi campi, le sue chiese, i suoi volti e le sue voci: ci basta guardarci dentro per ritrovarla viva e intatta nella nostra memoria e nel nostro cuore.

 

Foto 5: Rue Beethoven, dove ha inizio Relitti.

 

 

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