Le vere storie d’amore danzano nell’ombra, iniziano con un sussurro; sono il fruscio sottile e silenzioso di una foglia che cade a terra ondeggiando. Per pochi istanti la tiene in aria un labile vento lontano che si sposta verso una persona precisa. Un vento che va seguito. Trascurarlo potrebbe significare privarsi di vivere appieno la propria storia.
CERCARSI PERSONA AFFIDABILE E PREMUROSA PER PRENDERSI CURA DI FILIPPO VITTORI, 84 ANNI, TOTALMENTE AUTOSUFFICIENTE. ORARIO DI LAVORO 9:00-14:00. VIA DEL CORALLO 9.
“Potrebbe fare al caso mio.” pensò Isabella. “In fondo, dovrei solo fargli compagnia e magari preparare il pranzo. E poi è a due passi da Piazza Navona, sarà una passeggiata arrivarci”. In effetti l’indirizzo in questione era a quindici minuti a piedi da casa sua. Non era un momento semplice per lei: aveva rotto con il suo fidanzato. Stavano progettando il futuro insieme, ma lui aveva improvvisamente cominciato a esitare e tirarsi indietro, mettendo in discussione il passo successivo nella loro relazione. Questo impiego le avrebbe permesso di liberare finalmente la testa dai pensieri stantii e deleteri e di continuare a dedicarsi alle grafiche digitali che voleva proporre ad alcune aziende pubblicitarie.

Girò l’angolo di Via del Corallo piena d’entusiasmo, mentre spostava la frangetta lunga per cercare il civico 9. Una voce annoiata rispose al citofono: “Chi è?”
“Buongiorno, mi chiamo Isabella. Sono qui per l’annuncio… il signor Vittori…”
Venne invitata a salire al secondo piano. L’appartamento emanava una sensazione avvolgente di nostalgia, con un bouquet di odori che le ricordava la casa dei nonni.
Ad attenderla sulla porta c’era Alessandro, il figlio, che si presentò senza entusiasmo e la accolse in casa. Seduto intorno a uno splendido tavolo in legno, invece, Filippo la guardava con occhi ancora vespri e un’espressione scorbutica. Era curato e ben vestito; portava con sé un delicato profumo di borotalco.
“Che sorpresa! Mio figlio che mette davvero quell’annuncio. Vuoi proprio liberarti di me, eh?! Mettetevi pure d’accordo ma ve lo dico chiaro e tondo: non ho bisogno d’aiuto, so badare ancora a me stesso.” disse, prima di reimmergersi nel suo quotidiano.
Alessandro tranquillizzò la ragazza: “Sotto sotto ha un cuore d’oro. Sono sicuro che farete amicizia.” e aggiunse scherzando “La sua decisione di non cacciarti immediatamente fuori di casa è già un segnale di tacito consenso”. Detto questo, scambiò un rapido saluto con il padre e uscì di casa.
“Beh, immagino di essere stata assunta. Forse aveva ragione Filippo: non vedeva l’ora di liberarsi di lui” pensò Isabella, perplessa. Si sedette all’estremità opposta del tavolo e si guardò un po’ intorno, cercando un pretesto per riempire quel silenzio che sembrava mettere a disagio solo lei.
“Il Fatto Quotidiano? Apprezzo tantissimo le vignette di satira."
“Già…” sospirò piegando il giornale e sostituendolo con una rivista di enigmistica.
Ritentò: “Vedo che possiede numerosi ritratti; è per caso lei a realizzarli?”
Allora Filippo alzò lo sguardo verso di lei e replicò seccato: “Regali."
Per giorni, l’unico rapporto tra i due si limitava a richieste di aiuto per risolvere cruciverba e a secche conversazioni durante il pranzo. Tuttavia a Filippo non sfuggiva una movenza di Isabella: dal modo in cui sfogliava i documenti che portava con sé alla cadenza con cui batteva i tasti al computer. In fondo non gli dispiaceva quella compagnia. Col tempo, imparò volentieri ad accogliere Isabella nella sua quotidianità, rendendola partecipe delle sue opinioni sui fatti di cronaca, delle sue esperienze passate, del rapporto con vicini e quartiere. E lei adorava questo nuovo ruolo da confidente; credeva che avrebbe imparato sempre qualcosa dalle parole di Filippo.
“Isabella cara, il Giappone è una terra meravigliosa. L’ho visitato, sai? Nel paleolitico ormai.”
Perché le stava nominando il Giappone? A un tratto si ricordò del raccoglitore giallo con l’etichetta TOKYO – DOCUMENTI che aveva nello zaino il giorno precedente. “Dove ho la testa?!” pensò. L’aveva lasciato lì.
“Oh, non c’è dubbio, ma temo che dovrò rimandare il viaggio. All’interno ci sono anche tutte le disdette. Era il sogno del mio ragazzo il Giappone, e io avevo deciso di fargli una sorpresa per il nostro quinto anniversario. La sorpresa, però, l’ho ricevuta io: mi ha lasciata da un giorno all’altro. Paura… paura del futuro.”
Nominare quella parola ora spaventava anche lei. Era sola e delusa, priva di ogni certezza. Non poteva immaginare che proprio Filippo le avrebbe dato, subito dopo, un motivo per reagire.
All’anziano signore sembrò un film già visto: “È un classico. Pochi sono disposti ad accettare un secondo lavoro. Dovresti saperlo che l’amore lo è; impiego a tempo pieno! L’inganno risiede nel fatto che il cuore è il datore più infame che esista: offre un’occupazione all’apparenza facile a tutti, senza corsi di formazione o istruzioni preliminari. Immagina quanti feriti sul lavoro e, come nel tuo caso, dimissioni immediate.”
Isabella sorrise: “E non informa nemmeno che si lavora in coppia, se è per questo. Sembra che oggi tutti sappiano parlare d’amore, si conosce ogni cosa intorno a questo sentimento ma è sempre più difficile farlo durare.”
“Non prendiamoci in giro. L’uomo è egoista per natura, vuole che l’ambiente che lo circonda sia su misura alle sue esigenze, per questo lo plasma a suo piacimento. L’amore in un certo senso stride con questo istinto: non esistono “io sono fatto così”; bisogna anche imparare a fare dei passi indietro, a cambiare, talvolta a mettersi al secondo posto. Si riconosce l’amore vero in chi va contro natura, in chi lotta non solo per la sua ma per la vita con un’altra persona.
Non sono il classico vecchietto antipatico legato allo stereotipo dei 'giovani d’oggi'. Naturalmente l’esperienza degli anni aiuta ad analizzare meglio alcune dinamiche ma questo non significa che lo scorso secolo siano nati tutti Aristotele. Io stesso ho sbagliato tutto in amore.”
“Lei è troppo duro con se stesso.” affermò la giovane, rivolgendo l’attenzione ad alcune fotografie che lo ritraevano con una bellissima donna dal sorriso genuino e gli occhi leggermente tagliati a mandorla, probabilmente sua moglie. “Sembravate così affiatati.”
Filippo guardava le foto con tenerezza: “Elena se n’è andata due anni fa, era la donna più meravigliosa sulla faccia della terra e le volevo molto bene ma… Vittoria…”
Sobbalzò. Da qualche profondo e incontrollabile angolo del suo inconscio quel nome venne fuori. Isabella non disse niente e, attonita, aspettava una mossa da Filippo.
“Oh mio Dio, quel nome…” ripeté due volte, sentendosi tradito dalla sua stessa voce.
“È sicuro di sentirsi bene?” gli chiese preoccupata, ed egli rispose che in un attimo ha come sentito l’organo al centro del suo petto riattivarsi.
La giovane non riusciva proprio a seguirlo. Di cosa stava parlando? Un’amante? Vittoria era il nome di una figlia scomparsa? Tutto quel mistero la stava agitando parecchio. Domandò a Filippo di permetterle di capire.
“Sarà stato più di sessanta anni fa. Come tutti i giorni, stavo andando a Valle Giulia, all’università; studiavo architettura. Le feci attraversare la strada e il suo portamento mi rapì. Non andai a lezione quel giorno”. Raccontò nei minimi dettagli la storia del suo innamoramento con Vittoria Colombini, come se il passato si stesse ricostruendo pezzo dopo pezzo nella sua mente. Sottolineò infinite volte la candidezza della sua pelle, sfumata di rosso sulle guance. Ne parlava come si parla dei propri sogni, delle proprie passioni. Isabella scoprì un uomo nuovo, perché non si è mai gli stessi quando si parla di quella persona.
Con l'aria da bambina curiosa domandò: “Che ne è stato di un sentimento del genere?”
“Terminò come un romanzo il cui finale viene spezzato dalle parole mai dette.” borbottò “Ti ho già suggerito che non esiste la coincidenza perfetta, ma esiste la volontà di limare gli spigoli per riuscire a incastrarsi. Noi evidentemente non lo sapevamo. Non ci siamo perdonati reciprocamente tante volte, mia cara, e abbiamo pagato entrambi la conseguenza di non vederci mai più, di non darci più sollievo a vicenda.”
“Ma si rende conto di come ne ha parlato fino a un secondo fa? Perché non l’ha mai ricercata? Non capisco come sia possibile imparare a memoria una persona e poi trasformarla in un’estranea, continuare a vivere come se nulla fosse!” ribatté in modo così sfrontato da rendersene subito conto e abbassare lo sguardo. “Scusi.”
“Non scusarti, hai ragione. Accettiamo ciò che crediamo di essere degni di ricevere. Ti senti vuoto, provi rabbia e pensi che la proverai per sempre, arrivi a fare a pugni con Dio e infine il dolore prosciuga tutto: ti svegli un mattino, non senti più niente e lo accetti.”
Isabella conficcò le unghie nei palmi delle mani, quasi furiosa scoppiò: “No! No! No! Avrò anche visto troppi film, letto troppi romanzi sentimentali ma almeno non la prendo in giro. Vittoria c’è stata dentro di lei sicuramente anche quando la sua vita è tornata a girare normalmente, quando non se n’è accorto, quando ha smesso di avere rimpianti. C’era e c’è, la muove e a volte la chiama. Come ora.”
Filippo stavolta non rispose, guardava verso la finestra con gli occhi spenti e disillusi.
Paonazza in viso, lei raccolse le sue cose e uscì di casa. Erano le 12.38. Non smise un attimo di pensare a quella conversazione e a quei due giovani innamorati che sono invecchiati distanti.
La mattina dopo uscì di casa scura in volto; non verso Via del Corallo: nonostante i mormorii di Alessandro – si era accordata con i Vittori che non si sarebbe recata al lavoro a causa di un appuntamento in polizia per l’annullamento dei visti per il Giappone. Arrivò quindi in largo anticipo al commissariato di Trevi Campo Marzio, si sedette ad attendere il suo turno. Mentre era distratta in fila, chiamarono il suo numero; tirò fuori i documenti e sentì qualcuno entrare e scandire il suo nome allo sportello d’ingresso: Vittoria Colombini.

Per ogni luogo della città di Roma citato nel racconto, ho inserito il link di Google Maps affinché sia più facile orientarsi.
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